13/2/2025
6 min

Sputo Fatti Neuromarketing Edition

Sputo Fatti Neuromarketing Edition

Viviamo in un’epoca in cui le neuroscienze vengono semplificate fino a diventare leggende metropolitane. Oggi voglio approfondire alcuni dei miti più diffusi sul neuromarketing e sul nostro cervello, sfatandoli con dati e ricerche.

Il neuromarketing non manipola, ottimizza

Si pensa spesso che il neuromarketing sia una tecnica persuasiva che “hackeri” la mente dei consumatori, spingendoli ad acquistare. In realtà, il neuromarketing serve a comprendere meglio le reazioni cognitive ed emotive delle persone, ottimizzando prodotti e comunicazione.

Uno studio di Plassmann, Ramsøy e Milosavljevic (2012) dimostra che la percezione di un prodotto può essere influenzata da branding e pricing, ma la decisione finale rimane sempre nelle mani del consumatore. Come evidenziato da Dan Ariely (2008) in Predictably Irrational, il neuromarketing non trasforma un prodotto di bassa qualità in un successo: può migliorare il modo in cui viene percepito, ma non può creare valore dove non c’è.

Il cervello non è diviso in tre parti indipendenti

L’idea del "triune brain" (cervello rettiliano, limbico e neocorteccia) nasce dagli studi di Paul MacLean (1990), ma oggi sappiamo che questa teoria è superata.

Le neuroscienze moderne, con ricerche di Panksepp (1998) e Doidge (2007), dimostrano che le nostre emozioni, il ragionamento e gli istinti lavorano insieme, senza divisioni nette. Non esistono compartimenti stagni: ogni funzione cerebrale può essere riorganizzata nel tempo grazie alla neuroplasticità. Questo sfata l’idea che decisioni emotive siano guidate solo dal “cervello rettiliano”.

Non abbiamo l’attenzione di un pesce rosso

Si sente dire che l’attenzione umana dura 8 secondi, meno di quella di un pesce rosso. Questa affermazione, popolarizzata da un report di Microsoft Canada (2015), non ha basi neuroscientifiche solide.

Secondo Posner e Petersen (1990), esistono tre tipi di attenzione:

  • Attenzione sostenuta: ci permette di rimanere concentrati su un compito per lungo tempo.
  • Attenzione selettiva: filtra le informazioni rilevanti.
  • Attenzione divisa: ci aiuta a gestire più stimoli contemporaneamente.

Studi come quello di Hari, Henriksson, Malinen e Parkkonen (2015) dimostrano che il nostro cervello è perfettamente capace di focalizzarsi a lungo, ma viene costantemente distratto da notifiche e sovraccarico informativo.

Un master in neuromarketing non basta per diventare esperti

Un master in neuromarketing è sicuramente un ottimo punto di partenza, ma non è sufficiente per diventare un ricercatore o un professionista completo in questo campo. Il neuromarketing è una disciplina che richiede esperienza pratica in laboratorio, accesso a tecnologie avanzate e una comprensione approfondita delle neuroscienze applicate.

Le tecniche utilizzate, come l’EEG, la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e l’eye-tracking, non si apprendono semplicemente dai libri o dai corsi, ma necessitano di pratica sul campo e di collaborazioni con centri di ricerca. Chi esce da un master può offrire consulenze strategiche e fare divulgazione, ma condurre ricerche significative richiede competenze che vanno oltre la formazione accademica.

Il neuromarketing è il futuro, sì, ma...

A livello globale, il neuromarketing è una disciplina emergente e sempre più utilizzata per comprendere il comportamento dei consumatori e ottimizzare l’esperienza cliente. Tuttavia, in Italia la maggior parte delle aziende non ha ancora una reale consapevolezza del suo potenziale.

Molte realtà lo percepiscono come un concetto affascinante, ma non come un investimento strategico da integrare stabilmente nei processi di marketing. Questo significa che, pur offrendo competenze interessanti, un master in neuromarketing non garantisce automaticamente uno stage o un lavoro. È qui che la divulgazione diventa fondamentale: i professionisti del settore hanno la responsabilità di educare il mercato e dimostrare il valore della disciplina.

Eye-Tracking non significa neuromarketing

Uno degli errori più comuni è credere che il neuromarketing si riduca all’eye-tracking. Sebbene l’eye-tracking sia uno strumento utile per analizzare il comportamento visivo dei consumatori – ossia dove, quando e per quanto tempo guardano un elemento – da solo non è sufficiente per comprendere il processo decisionale.

Il neuromarketing è molto più complesso e utilizza una combinazione di strumenti neuroscientifici, come EEG, GSR (galvanic skin response) e persino fMRI, per analizzare le emozioni e le reazioni cognitive alle esperienze di marca. È l’integrazione di queste tecniche che permette di ottenere insight realmente utili per ottimizzare la comunicazione, i prodotti e i servizi.

Conclusione

Le neuroscienze applicate al marketing servono a comprendere meglio il comportamento umano, non a creare scorciatoie per influenzarlo in modo incontrollato. Conoscere i meccanismi cognitivi e decisionali permette di costruire esperienze più efficaci, ma sempre nel rispetto del consumatore.

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